NATO e Unione Europea: prospettive per il 2030. Storia, diplomazia, difesa
di Lavinia De Santis*
Abstract
How can the relationship between the EU and NATO be defined? What hypotheses of the European army have been formulated during the development of this partnership? These questions were answered during the meeting "NATO and the European Union: prospects for 2030. History, diplomacy, defence", held on Friday, February 19, 2021. The meeting was an opportunity to reflect on recent challenges and aspirations for renewal through an interdisciplinary approach.
Key words: EU-NATO relationship, defence, army, historical roots, prospects, 2030.
L’incontro di venerdì 19 febbraio 2021, dal titolo “Nato e l’Unione Europea: prospettive per il 2030. Storia, diplomazia, difesa”, avvenuto sulla piattaforma Google Meet, nasce dalla volontà di approfondire gli obiettivi che la NATO ha fissato in vista del 2030 all’interno di un contesto fortemente mutevole come quello contemporaneo. L’approccio interdisciplinare che ha animato la tavola rotonda ha visto associarsi alle sensibilità storiche e alle competenze diplomatiche, contributi più strettamente legati al settore della difesa. Il convegno, moderato da Matteo Antonio Napolitano, titolare di Storia e istituzioni dell’Asia presso l’Università Niccolò Cusano di Roma, si è aperto con i saluti istituzionali del prof. Silvio Berardi, docente di Storia delle relazioni internazionali e di Storia dell’integrazione europea presso la medesima università nonché direttore responsabile della Rivista “Europea”.
- UE-NATO: un rapporto contraddittorio, talvolta “schizofrenico”, ma comunque solido
Durante il dibattito il prof. Umberto Morelli, ordinario di Storia delle relazioni internazionali e di Storia politica dell’integrazione europea presso l’Università di Torino, è intervenuto con un articolato contributo dal titolo “UE-NATO: un rapporto contraddittorio, talvolta ‘schizofrenico', comunque solido”[1].
La schizofrenia che, secondo Morelli, si sarebbe manifestata periodicamente nelle relazioni tra questi due grandi attori internazionali, è relativa alla presenza di due principali contraddizioni: la prima è quella tra la pretesa degli Stati Uniti che vorrebbero un’Europa efficiente nel settore della difesa e la loro contemporanea aspirazione a mantenere la supremazia in tale settore; la seconda è quella tra l’ambizione europea di potenziare le proprie capacità militari e il timore che proprio questa eccessiva autonomia possa provocare il ritiro americano da tale settore.
Morelli è poi passato a individuare le fasi del cammino di integrazione europea in cui a suo avviso più accentuata si è manifestata tale “schizofrenia”.
Intanto e prima di tutto la firma del Patto atlantico (1949)[2], che se da un lato ha posto le premesse per una lunga subordinazione politica e militare dell’Europa agli Stati Uniti, dall’altro ha reso possibili i livelli di sicurezza e di difesa che in seguito avrebbero consentito all’Europa unita di recuperare quell’autonomia perduta nel passato. Non solo, ma - ha proseguito Morelli - il “protettorato” americano ha fatto emergere una serie di diffidenze reciproche: da un lato i paesi europei iniziarono a dubitare che gli americani fossero realmente capaci di assicurare livelli adeguati di sicurezza nel territorio europeo; dall’altro, negli USA iniziò proprio in quegli anni a farsi strada l’idea che l’Europa non sostenesse costi adeguati per la difesa (l’annosa questione del cosiddetto burden sharing[3]).
Come risultato di questo clima di sfiducia reciproca si determinò, da quel momento innanzi, una precisa suddivisione del lavoro tra l’UE e la NATO, in base alla quale l’Europa avrebbe dovuto continuare ad occuparsi dell’integrazione economica, mentre la NATO avrebbe acquisito il ruolo di garante per eccellenza della difesa europea.
Ebbene, per effetto di questa divisione dei compiti, sono venute all’Europa certo alcune opportunità ma anche notevoli costi: il vantaggio derivante dalla delegazione delle spese per la difesa alla NATO è stato compensato dalla crescente svalutazione del problema nell’opinione pubblica europea: c’è stata come una sorta di “disarmo culturale”, fondato sull’idea dell’inutilità di investire risorse nel settore delle armi.
Lentamente, a seguito della Guerra Fredda, maturò una nuova stagione sia in Europa sia in ambito NATO: con la caduta del muro di Berlino - ha spiegato ancora lo storico - all’Europa divenne chiara la necessità di impegnarsi in prima linea nella difesa, anche perché la prima guerra del Golfo del 1991[4] e poi lo scoppio della guerra nella ex Iugoslavia[5] avevano trovato le forze europee completamente impreparate.
Col Trattato di Maastricht del 1992[6] si giunse alla costituzione della PESC (politica estera e di sicurezza comune), in cui vennero ricomprese tutte le questioni relative alla sicurezza e alla difesa europea, con l’obiettivo di trasformare l’Unione europea nel pilastro europeo della NATO. Non furono solo gli Stati membri a salutare con entusiasmo l’idea di dare vita ad un’identità europea di sicurezza e di difesa, ha proseguito Morelli. Quest’ambizioso progetto incontrò anche l’accordo degli Stati Uniti, che per tutto il periodo della Guerra Fredda avevano preteso che il Blocco Occidentale si presentasse unito sotto la direzione americana contro l’Unione Sovietica e non avevano permesso un ruolo autonomo dell’Europa.
Lo storico ha inoltre sottolineato come il Trattato di Maastricht, basandosi su un approccio intergovernativo, non abbia dotato l’Europa dei mezzi necessari per promuovere un’effettiva politica estera e di sicurezza comune. L’aspirazione degli europei a giocare un ruolo autonomo dagli USA sarebbe esplosa con tutta la sua forza in occasione della guerra in Jugoslavia, quando il ministro degli esteri del Lussemburgo, Jacques Poos (in un’affermazione che rimase storica) proclamò a chiare lettere: “this is the hour of Europe, not the hour of Americans”[7], con riferimento all’urgente bisogno che una solida e compatta azione europea fronteggiasse una situazione divenuta minacciosa per la stabilità stessa del continente.
Ma il fallimento dell’Europa nella guerra in Jugoslavia - la cui soluzione avvenne grazie all’intervento degli USA, della Russia e della NATO - fu un segnale evidente dell’arretratezza delle forze militari europee. È nell’ambito di questo scenario che si collocano i vertici del ‘94 e del ’96, nell’ambito dei quali fu proclamata la necessità di sviluppare un’identità di sicurezza e di difesa, dotata di forze “separabili ma non separate” dalla NATO[8]: le cosiddette European combined joined task forces. Ciò - ha sottolineato Morelli - è indicativo dei limiti che gli Stati Uniti hanno posto all’Europa nella politica europea di difesa.
La guerra del Kosovo, avvenuta tra il 1998 e il 1999[9], fu il focolaio di un’ulteriore tensione fra i due attori, perché si misurò allora tutta la debolezza delle forze europee aeree rispetto a quelle americane. Non solo, ma a tale contrapposizione esterna si sarebbe ben presto aggiunta una divaricazione tra i progetti della diplomazia inglese e l’aspirazione della diplomazia francese: la prima puntava alla complementarietà della politica estera e di difesa rispetto all’attività della NATO, perseguito dall’allora premier del Regno Unito Tony Blair; la seconda premeva per il raggiungimento dell’indipendenza europea dagli Stati Uniti, che aveva come principale promotore l’ex presidente francese Jacques Chirac[10].
Un’altra tappa importante di questo rapporto “schizofrenico”, sono gli accordi di Berlin Plus del 2003[11], con cui la NATO decise di mettere le proprie risorse a disposizione per le operazioni militari a conduzione europea. Ma la richiesta di Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo di istituire un quartier generale che garantisse coordinamento e continuità nelle iniziative europee, sarebbe andata incontro all’opposizione di Inghilterra, Spagna, Polonia, a cui si sarebbe associato il disaccordo degli USA, timorosi che tale iniziativa potesse minare il futuro della NATO.
Ben presto, nell’evoluzione del rapporto tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti - ha proseguito Morelli - sarebbe emersa una nuova dicotomia: quella tra la National Security Strategy del settembre 2002 (la strategia americana della guerra preventiva contro il terrore)[12] e la European security strategy del dicembre 2003, che invece non prevedeva alcuna dichiarazione di guerra al terrore, né alcuna definizione di “Stati canaglia” ma un programma di sicurezza autonomo, fondato sui propri valori fondamentali[13].
L’analisi di Morelli si è poi rivolta alle dinamiche più recenti di tale rapporto ed in particolare alla nuova fase che dal 2016, all’insegna di una rinnovata e operosa cooperazione, ha visto l’UE e la NATO impegnate insieme in molteplicità di ambiti.
Ma con la presidenza americana di Donald Trump - ha proseguito - il rapporto tra l’UE e la NATO ha subito una profonda inversione di marcia: Trump è stato infatti il primo presidente nella storia degli Stati Uniti a dichiararsi espressamente contrario all’integrazione europea, con ciò rendendo chiaro che l’America non era più in grado di garantire la stabilità politico-militare nel mondo. Un fatto, quest’ultimo, la cui rilevanza geopolitica è tale da poter essere paragonata alla denuncia degli accordi di Bretton Woods ad opera di Richard Nixon del 1971, un atto che aveva ufficialmente sancito l’incapacità del dollaro di sostenere tale sistema monetario e di garantire l’ordine internazionale[14].
L’intervento di Morelli si è concluso con l’auspicio che la presidenza di Joe Biden possa garantire un effettivo rilancio delle relazioni transatlantiche e che la nuova fase a cui ci stiamo avviando possa contare su un’Europa più forte e capace di assumere una politica militare autonoma (evoluzione che risentirà fortemente della natura del contesto internazionale).
L’idea di Morelli è che, affinché l’Europa si emancipi dal ruolo di satellite statunitense, si riformi al più presto la PESC e si superi l’inefficiente logica intergovernativa nella gestione delle recenti sfide (in primis l’attuale emergenza sanitaria). L’approccio da lui suggerito per superare l’attuale crisi europea, non coincide con quello pragmatico dei “piccoli passi”, perché i piccoli passi - ha spiegato - spesso sono la continuazione degli errori commessi in precedenza. Si tratta, piuttosto, di spiccare un grande passo in avanti sulla strada dell’unificazione politica. La sfida che si impone per gli europei, secondo lo storico, è quindi quella di un radicale cambio di prospettiva: comprendere che fare l’Europa significhi anche fare gli interessi nazionali. L’Europa - ha concluso -non è, infatti, un disvalore (come spesso tende ad essere concepita nell’opinione pubblica) ma un valore perfettamente compatibile con gli interessi nazionali dei paesi membri.
- Le ipotesi di un esercito europeo dalla CED ai Battlegroups
L’intervento successivo è stato quello del prof. Andrea Ungari, ordinario di Storia contemporanea presso l’Università Marconi di Roma e ufficiale della riserva dell’esercito italiano con il grado di Maggiore. Nel suo contributo, “Le ipotesi di un esercito europeo dalla CED ai Battlegroups”, Ungari[15] si è concentrato sul percorso di carattere politico-militare dell’Unione europea, individuando come prima tappa il Trattato di Bruxelles del 1948, sulle basi del quale venne costituita l’Unione Europea Occidentale (UEO), un’alleanza militare regionale di sicurezza e di difesa, sorta con una funzione principalmente anti-tedesca (ed in particolare quella di contenere il suo riarmo), alla quale aderirono inizialmente solo la Francia, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi; successivamente anche la Repubblica federale di Germania e l’Italia. È significativo - ha fatto osservare Ungari - che in questa fase l’Inghilterra abbia giocato un ruolo decisivo nel progetto europeo di integrazione politico-militare.
Con lo scoppio della guerra di Corea nel 1950[16] - ha proseguito - i discorsi sull’esercito europeo e gli obiettivi della NATO risultarono profondamente influenzati dal contesto della Guerra Fredda e dal tentativo dell’Unione Sovietica di contrastare la dottrina del contenimento del presidente Truman, e quindi di giocare un ruolo attivo e propulsivo nell’espansione del comunismo. Di qui il timore che una situazione analoga a quella della Corea potesse ripetersi anche in Germania e l’insistenza degli Stati Uniti sulla necessità di un riarmo tedesco. Sennonché tale proposta dovette fare i conti con la strenua opposizione della Francia, timorosa che il riarmo della Germania potesse indebolire la posizione francese nello scacchiere internazionale. Tale preoccupazione spinse la Francia ad elaborare nell’ottobre 1950 un contro-progetto, promosso in prima linea dal primo ministro René Pleven.
L’idea era quella di costituire un esercito europeo, sotto la guida di un ministro della Difesa comune (che nelle aspirazioni di Pleven sarebbe stato francese), il quale sarebbe stato soggetto al controllo di un’assemblea parlamentare e di un Consiglio dei ministri. Il “controprogetto” impediva alla Germania di disporre di un esercito nazionale accanto a quello comune, a differenza degli altri Stati cui invece tale possibilità veniva assicurata[17].
A seguito di un lungo e complicato processo di negoziazioni si giunse nel maggio del 1952 alla firma del Trattato di Parigi che creava la Comunità europea di difesa (d’ora in avanti CED). Diversamente da quanto auspicato dalla Francia, tuttavia, l’opzione di un ministro europeo della difesa non era stata contemplata dal Trattato. Non solo, ma il controllo dell’esercito europeo sarebbe stato posto sotto la NATO, così da contenere le aspirazioni autonomistiche degli europei[18]. Una proposta assai ambiziosa all’interno di tale accalorato dibattito - ha proseguito - fu quella di Alcide De Gasperi, il quale premeva per un’evoluzione della CED in senso federalista, attraverso la creazione di un autonomo organo politico (sulla scia della teoria europeista di Altiero Spinelli).
Nel frattempo - il 25 luglio dello stesso anno - entrava in vigore la CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), la cui Assemblea avrebbe dovuto gettare le basi per la nascita di una nuova istituzione di ispirazione federale, la Comunità Politica Europea (CPE). Ma il rifiuto di ratificare la CED e la CPE da parte dell’Assemblea Nazionale francese nell’agosto del 1954 condusse tale progetto al fallimento.
Secondo la ricostruzione di Ungari, un ulteriore momento di cesura nel rapporto tra l’UE e la NATO ha coinciso con l'allargamento progressivo di quest’ultima tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, basato sull’art. 10 del Trattato del Nord atlantico che consente ad ogni stato europeo invitato di aderire, così da “contribuire alla sicurezza dell'area nord atlantica”.[19]
In particolare, l’adesione dei paesi dell’Est postcomunisti[20] - avvenuta soprattutto per fronteggiare il pericolo russo - se da un lato ha fatto segnare dei rilevanti passi in avanti sulla strada dell’integrazione, limitando considerevolmente i rischi di conflitti, dall’altro, ha però provocato anche numerose difficoltà nell’accettazione dei valori fondamentali dell’Unione Europea da parte di alcuni di questi Stati (ed in primis da parte dell’Ungheria e la Polonia).
Altri aspetti problematici del rapporto tra l’UE e la NATO consistono, secondo lo storico, nella difficoltà di conciliare le diverse prospettive di politica estera dei singoli Stati membri. Non solo, ma - come fa notare ancora Ungari - le crisi che si sono succedute negli anni Duemila (dalla crisi economica a quella migratoria alla crisi pandemica) hanno visto un’Europa impreparata e poco capace di rispondere in maniera unitaria alle crescenti sfide.
È proprio l’insieme di queste difficoltà che avrebbe impedito, secondo lo studioso, la costituzione di un esercito europeo vero e proprio. Basti pensare alla vicenda dei Battlegroups, gruppi tattici di circa 1500 uomini dispiegabili in operazioni di intervento rapido e considerati comunemente come il fulcro di un esercito europeo, la cui prima fornitura è avvenuta su base nazionale da Francia, Italia e Regno Unito nel 2005. Ebbene, nonostante tali forze[21] siano operative dal 1º gennaio 2007, esse non sono ancora mai state utilizzate.
Da ultimo Ungari ha osservato come l’Europa si trovi oggi di fronte ad un bivio da cui dipenderà il proprio futuro: rimanere fedeli al proprio sistema democratico-liberale o abbracciare i modelli autoritari dei nuovi sistemi in ascesa come la Russia e la Cina.
Se l’Europa vorrà perseguire il primo obiettivo - ha avvertito - è necessario che essa, sulla scia del progetto di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi[22], si doti il prima possibile di un corpo politico sovrano, il solo capace di di contrastare i nazionalismi (di cui quello francese è uno dei più pericolosi) che ne inciampano il cammino.
Secondo Ungari, se è vero che serve un approccio pragmatico alle relazioni internazionali, il ricorso a tale approccio non può essere tale da disconoscere la necessità sempre più urgente di un’identità valoriale degli europei. E conclude spiegando come occorra superare l’angusta visione dell’UE quale mera “potenza economica” e “nano politico” e trovare finalmente il coraggio di avviarsi verso una grande, ambiziosa riforma strutturale in chiave politica.
- La partnership NATO-UE verso il 2030 tra aspirazioni di rinnovo e rischi di frammentazioni
Il successivo intervento di Luca Ratti, docente di Storia delle relazioni internazionali presso l’Università Roma Tre, ha riguardato “la partnership NATO-UE verso il 2030 tra aspirazioni di rinnovo e rischi di frammentazioni”[23].
Sulla scia di quanto osservato da Morelli, Ratti è partito pure lui dalla constatazione di una profonda “schizofrenia” non solo esterna, nel rapporto cioè tra l’UE e la NATO, ma anche interna alla stessa Unione, e che coinvolge le diverse e talora opposte posizioni che gli Stati membri promuovono nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa. Difficile è infatti conciliare percezioni della minaccia, aspirazioni e culture strategiche profondamente diverse. Un esempio tra tutti è quello dell’attuale posizione tedesca, che anziché puntare ad un ruolo indipendente dell’Europa, insiste sull’esigenza di mantenere uno stretto legame con gli Stati Uniti.
Poste queste premesse, Ratti ha proseguito spiegando come l’evoluzione del rapporto tra la NATO e l’UE abbia risentito significativamente (e continuerà a risentire nel prossimo futuro) dell’interazione tra due dinamiche diverse ma interdipendenti l’una con l’altra: da un lato quella sistemica (l’evoluzione del sistema internazionale), dall’altro quella dei rapporti intra-sistemici.
Sul piano sistemico, la relazione tra l’UE e la NATO è stata a lungo profondamente influenzata dal contesto internazionale, sia nel momento della sua formalizzazione (coincidente con la fase culminante della divisione Est-Ovest), sia in quello della sua trasformazione, segnata dal crollo del blocco sovietico e dal passaggio verso la fase dell’unipolarismo statunitense, sia, infine, nel periodo inaugurato con la crisi finanziaria del 2008. Un periodo, quest’ultimo, caratterizzato da un graduale retranchement del potere degli Stati Uniti e dall’evoluzione verso un sistema multipolare[24].
Sul piano infra-sistemico, invece, tale relazione è risultata fortemente dipendente dalle decisioni adottate dalle principali potenze europee in materia di sicurezza e di difesa.
Ma - secondo l’analisi di Ratti - il momento di maggiore trasformazione nel rapporto tra l’UE e la NATO ha coinciso con l’implosione del blocco sovietico. A seguito di tale evento, l’Europa e gli Stati Uniti si sono trovati costretti a ridefinire profondamente la loro azione nel campo della Alleanza Atlantica e, da questo momento in avanti, si è consolidata la tendenza statunitense a preservare l’Alleanza Atlantica e a difendere la NATO come il forum privilegiato per la difesa della sicurezza occidentale. Vanno in questa direzione i progetti dell’amministrazione Bush di rilanciare l’Alleanza Atlantica all’inizio degli anni ‘90.
Nella prospettiva statunitense, l’Europa avrebbe dovuto occuparsi di una serie di compiti secondari e di risulta: precisamente quelli che nel 1992 vennero riassunti nella Dichiarazione di Petersberg, la quale, in base all’assunto che elevava la NATO ad organizzazione primaria per il mantenimento della sicurezza europea, definì una serie di operazioni in cui assegnava all’UEO un ruolo ancillare nei confronti della PESC[25].
Una svolta sarebbe avvenuta dopo, con il vertice franco-britannico di Saint Malo del dicembre 1998, quando le due delegazioni pervennero ad una dichiarazione comune sulla difesa europea. In quell’occasione fu stabilito che l’Unione europea avrebbe dovuto assumere "la capacità di intraprendere azioni autonome, supportate da forze militari credibili, gli strumenti per decidere di usarle e la relativa preparazione, e ciò allo scopo di far fronte alle crisi militari"[26].
Questa dichiarazione - ha commentato Ratti - se da un lato può essere considerata come un significativo passo in avanti sulla strada del compromesso tra le diverse posizioni nazionali, dall’altro non è riuscita a superare l’elemento di incertezza infrasistemica alla base del perdurante immobilismo dei paesi europei in tutta una serie di crisi che si sono manifestate nel corso degli anni Duemila alla periferia dell’area euro-atlantica (dalla Crimea, passando per la Siria fino ad arrivare alla Libia)[27]. Ed è proprio tale incertezza che avrebbe fatto emergere negli Stati Uniti prospettive alternative a quella attuale, come quella di trasformare l’Alleanza Atlantica in un soggetto dall’occhio lungo, capace di guardare anche al di fuori dell’Europa (la cosiddetta “global NATO”)[28].
Di qui il rischio di una futura frammentazione e di un progressivo, ulteriore raffreddamento della fiducia nell’opinione pubblica europea circa l’effettiva capacità dell’Unione di garantire la sicurezza dei suoi cittadini.
Tra le iniziative intraprese dall’Europa per fronteggiare questo pericolo, secondo Ratti, fondamentale è l’elaborazione di uno strategic compass. Tale strategia, prevista per l’inizio del 2022, definisce quattro principali direttrici: in primo luogo, il miglioramento della gestione delle crisi (le gravi questioni legate alla Dichiarazione di Petersberg che con il Trattato di Nizza erano già state assorbite dall’UE); in secondo luogo, il rafforzamento della resilienza, in base all’idea che oggi le minacce per la sicurezza euroatlantica assumano una natura ibrida e non rispondano più ai canoni tradizionali; in terzo luogo, una maggiore autonomia dell’Unione nelle missioni militari; infine, il rafforzamento delle partnership con i diversi paesi europei che aderiscono alla NATO ma non all’UE (come la Gran Bretagna e la Norvegia)[29].
Quanto ai possibili scenari futuri, secondo quanto ipotizzato da Ratti, l’uscita della Gran Bretagna dall’UE potrà contribuire a rafforzare l’impatto che le scelte tedesche avranno sulla collocazione internazionale dell’UE e sulle sue ambizioni in termini di sicurezza e di difesa. Il rischio di un indebolimento della NATO e dell’UE - ha proseguito Ratti - è dovuto all’elemento schizofrenico sopra richiamato, ingigantito però da ciò che accade alla periferia del rapporto transatlantico (si pensi alla frammentazione in aree come i Balcani e il Nord Africa). Di qui il suo auspicio che con la nuova presidenza di Biden possa aprirsi una nuova stagione cooperativa tra le due organizzazioni che - ha avvertito - riuscirà effettiva soltanto se non limitata ad una semplice politica di deterrenza e sempre che, inoltre, sappia mantenere aperto il dialogo con paesi come la Federazione russa. Un dialogo che per l’Alleanza rimane fondamentale, sia per i partner europei, sia per quei paesi che, sebbene ai margini dell’architettura di sicurezza europea, non possono non essere presi in considerazione tutte le volte che ci saranno da stabilizzare i rapporti tra l’Europa e la NATO.
Ma come è possibile incentivare un rapporto cooperativo tra questi due grandi attori? Secondo Luca Ratti, i tre elementi che potranno migliorare questo complicato rapporto sono i seguenti: la necessità che non solo gli Stati Uniti, ma anche i paesi europei, continuino ad investire risorse significative nell’Alleanza; il superamento della “schizofrenia” interna all’UE e il raggiungimento di una visione comune in materia di politica estera; l’importanza di avviare una nuova fase di dialogo con la Federazione russa.
Da ultimo Ratti ha ricordato come sia essenziale perseguire un approccio pragmatico-realistico nei rapporti internazionali; realistico nel senso che sappia decifrare gli interessi economici, finanziari e geopolitici che spesso si nascondono dietro le “crociate valoriali” intraprese dai governi nazionali.
- Rapporti NATO-UE: sfide recenti e prossime opportunità
La conferenza si è conclusa con Alessandro Marrone, responsabile del programma “difesa” dello IAI (Istituto Affari Internazionali)[30].
L’intervento di Marrone -“Rapporti NATO-UE: sfide recenti e prossime opportunità”- si è concentrato su quelli che egli considera gli elementi più problematici del rapporto NATO-UE.
Il primo riguarda la percezione europea degli Stati Uniti come una mera estensione della NATO. Il che - ha commentato Marrone - è, almeno parzialmente, un errore, perché se è vero che la NATO non opera contro gli interessi degli Stati Uniti, è anche vero che non tutte le decisioni adottate dagli Stati Uniti seguono le logiche interne alla NATO.
Il secondo aspetto critico è la percezione largamente diffusa negli Stati Uniti dell’UE come un’organizzazione ostile agli Stati Uniti e non un come un suo partner;
Ultimo elemento strutturale è la circostanza per cui, mentre l’Unione si occupa di una serie eterogenea di politiche, in cui la difesa ha un ruolo del tutto secondario, la NATO, per converso, dedica alla difesa tutte le sue risorse a disposizione. Da qui l’emergere di una grave contraddizione: da un lato, la NATO richiede all’UE un ruolo più incisivo nella difesa, che per l’UE è secondaria; dall’altro, l’UE si trova in una posizione subordinata proprio perché la NATO è l’organizzazione di riferimento per la difesa dell’Europa.
Il quadro delineato da Marrone, però, è in chiaroscuro perché accanto a questi elementi di tensione ve ne sono altri più positivi nel rapporto tra le due organizzazioni. Così è per esempio per i numerosi meccanismi cooperativi che, nel corso degli anni Novanta, sono stati introdotti nella gestione delle missioni nei Balcani e in Afghanistan e di quelle marittime di contrasto alla pirateria nell’Oceano indiano. Una cooperazione che tuttavia, è risultata fortemente ostacolata dalla perdurante mancanza di un mandato politico-strategico a cooperare.
Il tutto però cambia con la Dichiarazione di Varsavia del 2016[31]- una dichiarazione di partnership strategica in diverse aree di intervento, che vanno dal contrasto alla minaccia ibrida, alla cyberdefence, alle esercitazioni. Tale dichiarazione ha offerto alla NATO e all'UE precisamente quel mandato politico a cooperare (prima assente) che ha reso possibile mettere a frutto l’intero potenziale di prassi cooperative accumulato nel decennio precedente. Ciò - prosegue Marrone - avrebbe forzato le burocrazie delle due organizzazioni a lavorare insieme e a costruire dei canali proficui di comunicazione: un processo capace di resistere anche durante l’amministrazione Trump (e nonostante la sua politica ostile all’Unione europea). La Dichiarazione di Bruxelles del 2018 ha poi ulteriormente confermato tale partnership strategica nella lotta contro le minacce alla sicurezza comune, in tutta una serie di settori di rilevanza cruciale.
Quanto all’attuale contesto dei rapporti tra la NATO e l’UE, secondo Marrone, è possibile riscontrare:
il timore ognora crescente all’interno dell’Unione Europea, che gli USA abbandonino la sicurezza collettiva dell’Europa; una rinvigorita spinta francese per una sua maggiore autonomia strategica; il rischio che le tensioni tra l’UE e la Gran Bretagna, emergenti dalla Brexit, si riflettano anche sul rapporto NATO-UE; l’attivo impegno russo a dividere l’Occidente, tramite tutta una serie di operazioni diplomatiche e di propaganda; l’emergere di esasperati personalismi nelle decisioni delle organizzazioni (e il pensiero corre di volata a Trump, a Macron o al presidente turco Erdogan).
Da ultimo, Marrone ha fatto notare come l’attuale investimento da parte degli USA nella NATO abbia una finalità prevalentemente anti-cinese e anti-russa e sia funzionale alla loro supremazia in ambito cibernetico, tecnologico-industriale e spaziale. Quanto alle opportunità di questo cambiamento nelle relazioni transatlantiche, secondo l’esperto dello IAI, esso potrà aprire all’UE nuovi spazi di manovra per la gestione delle crisi nel vicinato, come quelle nel Fianco Sud (sempre che l’Europa sarà in grado di cogliere tale opportunità). La nuova sfida cui gli europei sono chiamati a rispondere - ha concluso Marrone - è quindi quella di pensare ad un nuovo modo più costruttivo di organizzare il rapporto NATO-UE, alla luce delle trasformazioni in atto nel contesto internazionale.
Infine, nello spazio dedicato ai commenti finali, il prof. Silvio Berardi[32] è intervenuto sui temi emersi nel corso della conferenza, con alcune considerazioni che hanno preso l’abbrivio dall’insegnamento di politici del passato. Riguardo per esempio ai rapporti con la Russia, ad esempio, Berardi ha osservato come già all’indomani degli anni Novanta, Giovanni Spadolini[33] avesse proposto l’edificazione di una “casa comune europea” in cui sarebbe dovuta entrare a far parte anche la Russia quale partner centrale del processo di costruzione dell’Europa stessa. Berardi ha quindi concluso il proprio intervento ricordando l’importanza di rilanciare il progetto CED di De Gasperi, puntando diritto però verso un’unione politica e non più solo economico-commerciale.
* Luiss Guido Carli, Roma.
[1] Tra le sue pubblicazioni: Storia dell’integrazione europea, Milano, Guerini, 2011; Contro il mito dello stato sovrano. Luigi Einaudi e l'unità europea, Milano, Angeli, 1990; L’Unione europea. Storia, istituzioni politiche, Torino, Loescher, 2007;
[2] La firma di tale trattato, avvenuta a Washington ad opera di 12 paesi fondatori, deriva non solo da ragioni difensive -il timore della crescente espansione dell’Unione Sovietica- ma anche dalla necessità di assicurare un clima di pace e di sicurezza collettiva nell’area Euro-Atlantica. Nell’art. 5 gli Alleati convennero che “un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America settentrionale [sarebbe stato] considerato come un attacco diretto contro tutte le parti,” (cfr. il testo completo al link: https://www.nato.int/cps/fr/natohq/official_texts_17120.htm?selectedLocale=it).
[3] Con l’espressione “burden sharing” si fa riferimento all’insieme dii impegni assunti dagli Alleati a partire dal Summit NATO, avvenuto nel 2014 in Galles. Essi includono l’impegno a spendere circa il 2% del proprio prodotto interno lordo nella difesa, quello di destinare il 20% delle proprie risorse militari all'investimento in nuove dotazioni e la garanzia di contribuire in maniera efficace alle diverse missioni e attività (cfr. NATO, Press conference, 14 Febbraio 2018, https://www.nato.int/cps/en/natohq/opinions_151504.htm).
[4] Nel gennaio 1991, sotto l’egida dell’ONU, una coalizione di 35 Stati sotto la guida degli USA dava il via ad una campagna di bombardamenti contro l’Iraq di Saddam Hussein, allo scopo di ripristinare la sovranità dell’emirato del Kuwait, che era stato invaso dall’Iraq l’anno prima (cfr. il link: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/guerra-del-golfo-trenta-anni-fa-contro-saddam-hussein-13b6b24d-6b66-41f6-90cf-92b50b00b61f.html)
[5] Si fa qui riferimento ad una serie di violenti conflitti armati di natura etnica, avvenuti negli anni Novanta nella ex Jugoslavia, il cui impatto è stato tale da provocarne la dissoluzione (per approfondimenti cfr. J. Pirjevec, Le guerre jugoslave. 1991-1999, Einaudi, Torino 2014).
[6] Come osservato da Daniele Pasquinucci, la firma del Trattato di Maastricht nel 1992, con le innovazioni strutturali che ha comportato, tra cui l’introduzione dei parametri sociali ed economici necessari per aderire all’UE, l’istituzione della politica estera e di sicurezza comune e il riconoscimento della cittadinanza europea, determinò una vera e propria svolta politica nel processo di integrazione, conosciuta dalla letteratura politologica come il passaggio verso “l’europeizzazione”. Con tale concetto l’autore fa riferimento al “consolidamento delle istituzioni, dei processi decisionali, delle politiche sovranazionali e al corrispettivo, assai considerevole, incremento della capacità della Comunità/Unione Europea di incidere sui sistemi istituzionali, politici ed economici dei suoi Stati membri” (D. Pasquinucci, L’Europa “a scatola chiusa”. L’Italia dall’Atto Unico a Maastricht in L’integrazione europea tra crisi e rilanci, (1947-2017). A cura di S. Cruciani e G. Tosatti, Officina della Storia, Viterbo 2019 p.115.
[7] Cfr. A. Riding, Conflict in Yugoslavia; Europeans send high-level team, New York Times, 29 giugno, 1991: https://www.nytimes.com/1991/06/29/world/conflict-in-yugoslavia-europeans-send-high-level-team.html
[8] Cfr. F.W. Luciolli, Comitato Atlantico Italiano, NATO: dal confronto alla cooperazione, Comitato Atlantico Italiano, https://www.nato.int/related/italata/fwl.htm
[9] Si tratta dell’ultimo, sanguinoso conflitto scoppiato nella ex Repubblica Federale di Jugoslavia negli anni ‘90 per motivi etnici, conclusosi nella primavera del 1999, a seguito dell’intervento di una coalizione NATO (cfr. G. Scotto e E. Arielli, La guerra del Kosovo. Anatomia di un’escalation, Editori Riuniti, Roma, 1999).
[10] Sulla linea autonomistica di J. Chirac si veda J. P. DARNIS, Francia-Italia: relazioni bilaterali, strategie europee, IAI Quaderni, Marzo 2005, https://www.iai.it/sites/default/files/quaderni_23.pdf
[11] Tali accordi, adottati il 17 marzo 2003, pongono le basi per una cooperazione UE-NATO nelle operazioni di gestione della crisi, garantendo all’Unione Europea la possibilità di acquisire dalla NATO gli strumenti di pianificazione e le capacità di comando necessarie (Cfr. M. Comelli e N. Pirozzi, La cooperazione tra l’Unione europea e la Nato, Senato della Repubblica, n. 69, Maggio 2007).
[12] Cfr. USA - The National Security Strategy of the United States of America, Gnosis, “Rivista italiana di intelligence”, http://gnosis.aisi.gov.it/sito/Rivista25.nsf/servnavig/13
[13] Si veda il report del Consiglio Europeo al link seguente: https://www.consilium.europa.eu/media/30823/qc7809568enc.pdf
[14] Bretton Woods è il sistema monetario dominante tra i maggiori paesi industrializzati a partire dalla seconda guerra mondiale, entrato in vigore nel 1945, allo scopo di assicurare un insieme di regole di stabilità, che comprendeva la convertibilità dollaro-oro, oltre che un regime di cambi fissi tra le monete con il dollaro come moneta centrale. Per una ricostruzione dettagliata della storia di tali accordi si veda il saggio di B. Steil, La battaglia di Bretton Woods, Donzelli, Roma 2015.
[15] Tra le sue pubblicazioni: Atlante Geopolitico del Mediterrano 2019, Francesco Anghelone, Andrea Ungari (a cura di) Bordeaux, Roma 2019; The Italian Air Force from its Origins to 1923, in Italy in the Era of the Great War, Vanda Wilcox (a cura di), Brill, Leiden/Boston, 2018, pp. 55-79; Le relazioni degli addetti militari a Berlino, in Francesco Anghelone, Andrea Ungari (a cura di), Gli addetti militari italiani alla vigilia della Grande Guerra 1914-1915, Rodorigo editore, Roma, 2015.
[16] Come osservato da Stefano Filippi, se inizialmente la preoccupazione strategica maggiore era stata quella di contenere la Germania, diversi eventi contribuirono ad uno spostamento dei piani strategici occidentali verso il consolidamento del sistema difensivo atlantico in chiave anti-sovietica: dallo scoppio della prima bomba sovietica nell’agosto del 1949 in Kazakistan, alla costituzione della Repubblica popolare cinese di Mao Zedong, fino allo scoppio del conflitto in Corea, a seguito dell’invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord (comunista), una delle fasi più tese della guerra fredda. È in quest’ottica che dev’essere interpretato il progetto statunitense, cosiddetto “one package”, proposto a new York nel 1950, quale evoluzione della dottrina Truman di contenimento dell’espansione sovietica (S. Filippi, Il percorso di ratifica del Trattato CED nelle carte degli archivi francesi e statunitensi in L’integrazione europea tra crisi e rilanci cit., p.28).
[17] Cfr. anche L. Rapone, Storia dell’integrazione europea,Carocci, Roma 2020, p. 30.
[18] Ivi, p. 31.
[19] Il testo del Trattato (Washington D.C., 4 aprile 1949) è cosultabile al link seguente: https://www.studiperlapace.it/documentazione/natotreaty.html
[20] Sull’allargamento della NATO ai paesi dell’est cfr. La Nato e la difesa europea: sviluppi recenti, scenari e ruolo dell’Italia, a cura di R. Alcaro, V. Briani, E. Greco, M.Nones,S. Silvestri, in collaborazione con P. Preschern, B. Voltolini, Aprile 2009, Istituto Affari Internazionali, https://www.iai.it/sites/default/files/pi_r_0001.pdf
[21] Cfr. F. Di Camillo (a cura di), Politica europea di sicurezza e di difesa: elementi, di V. Miranda, N. Sartori, C. De Simone, IAI: http://www.iai.it/sites/default/files/iai0917.pdf
[22] Cfr. A. SPINELLI – E. ROSSI, Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto, in lingua italiana, francese e inglese, con la presentazione di P. GRASSO, Senato della Repubblica 2017.
[23] Tra le sue principali pubblicazioni: Case Studies in International Security: From the Cold War to the crisis of the New international Order, 2018; Italy and NATO enlargement to the Balkans: An examination of realist theoretical frameworks’, Carocci, Roma 2004, A Not-So Special Relationship: The US, the UK and German Unification, 1945-1990, 2017.
[24] Cfr. J.FRIEDRICHS, European approaches to International relations theory: A house with many mansions, Routledge, 2004.
[25] L’atto, adottato il 19 giugno 1992, tramite cui i paesi membri dell’Unione Europea Occidentale hanno proclamato la loro disponibilità a prestare all’UEO, alla Nato e all’UE, le proprie unità militari per le missioni umanitarie, di gestione delle crisi e per quelle di ripristino della pace. (Cfr. s.v. “Dichiarazione di Petersberg”, Treccani.it, https://www.treccani.it/enciclopedia/dichiarazione-di-petersberg_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/ ).
[26] Cfr. il link seguente: https://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+WQ+P-2000-3784+0+DOC+XML+V0//IT
[27] Cfr. D. Morenghi, Dalla Crimea alla Libia, passando per la Siria, la Russia si espande nel Mediterraneo, CESI, 10 novembre 2020, http://cesi-italia.org/articoli/1206/dalla-crimea-alla-libia-passando-per-la-siria-la-russia-si-espande-nel-mediterraneo
[28] C. MICHAEL, The Global NATO Debate, Politique étrangère, 2009/5 (Hors série), pp. 57-67, https://www.cairn.info/revue-politique-etrangere-2009-5-page-57.htm
[29] Cfr. la nota n. 62 su atti dell’Unione Europa, il Consiglio Ue del 20 novembre: la seconda fase della PESCO, l'avvio dello strategic compass e gli altri temi della difesa comune europea, Servizio Studi, Servizio delle Commissioni permanenti e speciali, Senato.it: http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01184684.pdf
[30] Tra le sue pubblicazioni: Il mantenimento e l'ammodernamento dello Strumento Militare come motore del Sistema Paese: evoluzione del modello di interazione tra la Difesa e l'Industria Nazionale, Centro Militare di Studi Strategici, Roma, novembre 2020; La politica di sicurezza nel vicinato meridionale. A view from Rome, Fondazione Friedrich Ebert in Italia, Roma, giugno 2020; The COVID-19 Pandemic and European Security: Between Damages and Crises, IAI, Roma, aprile 2020.
[31] Cfr. il link seguente: https://www.consilium.europa.eu/it/meetings/international-summit/2016/07/08-09/
[32] Tra le sue pubblicazioni: Mary Tibaldi Chiesa. Tra integrazione europea e riforma delle Nazioni Unite, presentazione di G. Rossi, Collana Biblioteca Scientifica Europea. vol. 1, Aracne Editrice, Roma 2018; Editoriale. In: (a cura di): G. ROSSI, BERARDI S., VALE G., Europea, vol. 1. pp. 5-8, Aracne Editrice, Roma 2018; Verso un nuovo Risorgimento. Il Carteggio tra Arcangelo Ghisleri e Giulio Andrea Belloni (1923-1938). Presentazione di Giuseppe Parlato. Collana Studi Risorgimentali. vol. 20, p. 1-480, Acireale, Bonanno Editore, Roma 2015.
[33] Vedi, a tal proposito, M. Leone, Spadolini e l’unità dell’Europa, Eurobull, 3 agosto 2019, https://www.eurobull.it/spadolini-e-l-unita-dell-europa?lang=fr.