Sicurezza e terrorismo: una lettura internazionale

di Lavinia De Santis*

 

Abstract

The meeting “Security and Terrorism: An International Reading” concerned the main challenges Nato is currently facing. The meeting covered the following topics: 1. NATO towards 2030 between geopolitical challenges and the terrorist threat; 2. International law in the century of insecurity, 3. the regionalization of multilateralism in the field of security; 4. energy and communication routes.

Key words: NATO, security, terrorism, challenges, 2030.

 

 

Venerdì 23 aprile 2021 si è tenuta la conferenza virtuale dal titolo “Sicurezza e terrorismo: una lettura internazionale”, organizzata dalla nostra rivista in collaborazione con Il Caffè Geopolitico. La tavola rotonda nasce dalla volontà di approfondire le sfide geopolitiche che la NATO si trova oggi ad affrontare in vista del 2030, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo internazionale. Il convegno è stato moderato da Matteo Antonio Napolitano, docente di Storia e istituzioni dell’Asia presso l’Università Niccolò Cusano di Roma ed ha avuto inizio con i saluti istituzionali del prof. Silvio Berardi, titolare di Storia delle relazioni internazionali e di Storia dell’integrazione europea presso lo stesso ateneo e direttore responsabile della nostra Rivista.

  1. La NATO verso il 2030 tra sfide geopolitiche e minaccia terroristica

Il primo ad intervenire nel dibattito è stato il professor Massimo De Leonardis, ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il quale ha presentato un contributo dal titolo “La NATO verso il 2030 tra sfide geopolitiche e minaccia terroristica”[1].

Nell’analizzare l’attuale contesto internazionale egli ha iniziato ripercorrendo le sue diverse fasi storiche. La prima è quella degli anni Novanta, che De Leonardis ha definito come la “più felice” (ammesso che esista la felicità in politica internazionale - ha poi precisato). Era l’epoca del nuovo ordine mondiale in cui i temi della tutela della difesa e dei diritti umani dominavano il dibattito interno alla NATO.

In quegli anni - ha commentato - sembrava che le forze armate potessero essere impiegate dovunque, purché nella denominazione delle diverse operazioni condotte fosse utilizzato il prefisso “peace” (peace-making, peace-enforcement, peace-keeping etc.).

Di lì a poco, tuttavia, il brusco risveglio dell’11 settembre 2001 avrebbe determinato il passaggio ad una nuova fase, ponendo il tema della lotta al terrorismo internazionale al centro degli obiettivi degli Stati. La crisi economica del 2008 avrebbe in seguito prevalso nel dibattito.

Un altro momento importante - ha proseguito - è il 2011, che segna l’avvio di una guerra umanitaria da parte dell’Alleanza: l’intervento militare in Libia[2].

Negli anni successivi l’attenzione si sarebbe spostata sulla deterrenza dalla minaccia russa.

Quanto alle caratteristiche della NATO, secondo De Leonardis, uno dei suoi maggiori vantaggi è quello di avere una natura flessibile, la capacità, cioè, di adattarsi alle più varie e molteplici sfide internazionali. Un esempio di questa sua flessibilità si trova nella recente costituzione di un gruppo di studio che ha presentato un Rapporto intitolato “NATO 2030: united for a new area[3], in cui si afferma che nei prossimi anni la NATO dovrà confrontarsi con tre principali problemi:

  1. la Russia;
  2. la Cina;
  3. il terrorismo internazionale.

Nello specifico, la Russia viene definita come “main challenge”, la Cina come “emerging challenge”, mentre il terrorismo viene identificato come uno dei “core tasks” della NATO.

Per quanto riguarda la Russia, una delle questioni che negli ultimi anni ha fatto più discutere è quella della sua annessione alla Crimea che nei documenti della NATO viene definita come “illegale e illegittima”[4]. Secondo De Leonardis, tuttavia, non si può rinunciare alla strada della negoziazione con la Russia per giungere ad un accordo generale sulle regole, strada che comporterà inevitabilmente qualche prezzo. Occorre inoltre sottolineare come la potenza russa sia percepita diversamente dai diversi gruppi geopolitici: se i Paesi dell’Est d’Europa (la Polonia, i Paesi Baltici) la considerano come una minaccia pressante, per altri Paesi come il nostro essa viene percepita maggiormente come una risorsa.

Quanto alla Cina, essa - si legge nel Rapporto - non costituisce una minaccia militare immediata all’area euro-atlantica nella misura in cui viene percepita la Russia, ma la sua assertività e il suo crescente potere la rendono un “full-spectrum systemic rival”[5]: un rivale sistemico a tutto campo.

Infine, per quanto concerne la lotta contro il terrorismo, il documento sottolinea come tale obiettivo debba essere integrato più esplicitamente tra i compiti chiave della NATO.

Se, dunque, tre sono le grandi potenze del nuovo ordine internazionale, la Russia, la Cina e gli Stati Uniti, - ha incalzato De Leonardis - la NATO (e quindi gli Stati Uniti, con il loro peso centrale nell’Alleanza) avranno la forza di affrontare contemporaneamente questi due attori? Dipende.

Quello che è certo - ha proseguito - è che la principale sfida che si impone oggi per l’Alleanza è di superare il clima del post-Guerra Fredda: assumere cioè il coraggio di realizzare ciò che non è stato fatto negli anni Novanta: posizionare sullo stesso tavolo vincitori e vinti.

E ha concluso indicando le due possibili strade attraverso cui ciò si potrà realizzare: l’equilibrio diplomatico sperimentato nell’ambito del Congresso di Vienna (1815) o la “pace punitiva” realizzata a Versailles nel 1919[6]. Finora l’Occidente (e in particolare la NATO con la Russia) hanno perseguito la strada di Versailles. È giunto il momento di ripensare al metodo di Vienna, ha concluso.

  1. Il diritto internazionale nel secolo dell’insicurezza

L’intervento seguente è stato quello di Nicola Colacino, ordinario di diritto internazionale presso l’Università Niccolò Cusano di Roma.

Nel suo contributo, “Il diritto internazionale nel secolo dell’insicurezza”[7], Colacino ha esordito definendo la risposta giuridica del diritto internazionale ai nemici tradizionali e a quelli emergenti come una risposta “tardiva” ed “incompleta”. Il diritto internazionale, che fino agli anni ‘80 era riuscito a regolare lo schema bipolare, dopo l’89 e il ‘91 si sarebbe cioè trovato impreparato di fronte a quella che Francis Fukuyama ha identificato come la fine della storia[8].

Quanto all’azione dell’Unione Europea all’interno del contesto internazionale, Colacino ha sottolineato come l’Europa non sia stata in grado di compiere pienamente quel salto politico, avviato a partire dal Trattato di Maastricht del 1992, che le avrebbe consentito con i successivi Trattati di Amsterdam e di Nizza di porsi come interlocutore alla pari con gli USA (pur sempre difettando di una forza adeguata in ambito militare).

L’incompiutezza dello sviluppo dell’integrazione europea fa sì che l’11 settembre 2001 - ha proseguito sulla scia di Antonio Cassese - provochi la disruption delle categorie giuridiche fino a quel momento conosciute[9].

Per la prima volta, infatti, l’Europa si trovò di fronte ad un attacco terroristico di proporzioni enormi, condotto da un gruppo non statale che si rifugia sul territorio di uno Stato il quale nega il proprio coinvolgimento in quell’azione. Da cui l’interrogativo seguente: si può agire nei confronti di uno Stato che nega di aver appoggiato un gruppo terroristico e che però si nasconde dentro quei territori (ha cioè le sue basi, i suoi campi di addestramento, la sua origine e i suoi capi in quel contesto?). Se si fossero seguite le regole del diritto internazionale fino a quel momento valide, la risposta sarebbe stata negativa. Il diritto naturale di autotutela, sancito dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, era stato applicato fino a quel momento contro altri Stati all’interno di un consesso tra pari e mai contro enti non statali[10]. Ma la portata della sfida fu tale da rendere necessario l’avvio di un progressivo cambiamento delle regole che avrebbe raggiunto la sua piena realizzazione con l’intervento statunitense in Afghanistan contro il regime dei talebani. Si trattava di una guerra di autodifesa riconosciuta come legittima dal diritto internazionale, ma condotta per la prima volta nei confronti di enti non statali[11]. Ciò provocò una forte spaccatura in Europa tra Stati favorevoli e Paesi contrari a tale iniziativa.

Tra le più importanti ricadute sul piano giuridico dell’11 settembre del 2001, Colacino ha ricordato l’ l’avvio da parte del Consiglio di Sicurezza di una serie di smart sanctions, vale a dire di sanzioni mirate nei confronti dei sospetti terroristi. Per la prima volta nella storia, tali misure restrittive non colpiscono alti vertici o capi di Stato di Paesi che si erano macchiati di gravi crimini internazionali, ma cittadini privati, accusati in base ai rapporti dell’intelligence -senza un’accusa formale e trasparente- di essere fiancheggiatori e/o finanziatori di gruppi terroristici e tali persone non hanno possibilità di sottrarsi a tali misure. Tra le sanzioni previste rientrano l’impossibilità di trasferirsi sul territorio di altri Stati e la privazione di beni di proprietà. L’aspetto più problematico è che- sia pure in una minoranza di casi- tali misure avrebbero colpito anche persone innocenti e di qui la sollevazione da parte della dottrina internazionalistica (tra cui Colacino) e dei tribunali nazionali contro un sistema basato su sanzioni non contendibili davanti ad un organo imparziale come un tribunale, per il solo fatto che la minaccia terroristica colpisce l’intera comunità internazionale.

Un’altra ricaduta sul piano giuridico è legata all’utilizzo delle nuove tecnologie. Si è assistito, cioè, ad una rivisitazione delle regole facenti capo allo ius ad bellum, che fino a quel momento si era retto sul principio in base al quale per poter colpire militarmente un obiettivo occorre essere in uno stato di guerra. Ne è un esempio l’uso sempre più massiccio delle missioni dei cosiddetti “droni” contro i sospetti terroristi. Questo mutamento delle regole del diritto internazionale ha sollevato il seguente interrogativo: è giusto agire militarmente contro un cittadino indifeso di un altro Paese, ancorché terrorista? E come vengono risarcite tutte le altre vittime collaterali? A ben vedere, non esiste un sistema internazionale che garantisca alle vittime degli attacchi dei droni un risarcimento.

La prassi che si è affermata all’indomani dell’attentato terroristico alle Torri Gemelle ha quindi reso evidente l’incapacità del diritto internazionale di far fronte all’esigenza di sicurezza sulla base di principi efficaci e condivisi da tutti gli Stati.

L’intervento di Colacino si è concluso con il riferimento ad un antefatto, relativo al mutamento delle decisioni in ordine alla definizione dell’illecito internazionale: in un primo momento e precisamente nel 1996 - in un contesto di piena pax americana - gli Stati della Comunità internazionale erano giunti tramite la Commissione di diritto internazionale all’approvazione in prima lettura di un innovativo progetto di articoli. Tale progetto prevedeva, nei casi di illeciti internazionali condotti da uno Stato (dai danni nei confronti di altri Stati ai crimini di diritti umani, fino alle gravi ipotesi di danno ambientale), l’intervento della Corte internazionale di Giustizia, che aveva il potere di dirimere la controversia e di stabilire i torti e le ragioni.

Alla vigilia dell’11 settembre, tuttavia, si decise di fare un passo indietro, sostituendo tale schema[12] con un nuovo progetto di articoli imperniato sul concetto di autotutela in base al quale gli Stati rifiutano di sottoporsi al giudizio di un tribunale internazionale. Concetto che avrebbe costituito la base per la successiva deriva post-11 settembre. Da quel momento in poi - ha concluso Colacino - le regole di diritto internazionale sono rimaste inadeguate a gestire questo nuovo “secolo dell’insicurezza”, da cui scaturisce l’esigenza, sempre più profonda, di un rinnovamento.

  1. Verso la regionalizzazione del multilateralismo in materia di sicurezza?

Il successivo intervento di Giovanni Finizio, docente del corso “Il ruolo internazionale dell’UE” presso l’Università di Torino, ha riguardato “la regionalizzazione del multilateralismo in materia di sicurezza”[13].

Sulla scia delle riflessioni di Colacino, Finizio è partito dalla constatazione di una profonda inadeguatezza delle istituzioni nell’attuale epoca dell’insicurezza, nell’idea che la sicurezza costituisca un imprescindibile bene pubblico internazionale.

Egli ha quindi richiamato l’attenzione su un processo che viene colpevolmente sottovalutato in Italia: la regionalizzazione del multilateralismo, vale a dire la crescente rilevanza delle istituzioni regionali rispetto alla garanzia di tale bene pubblico, che si è andata sviluppando a partire dagli anni Novanta.

Finizio è quindi passato a tratteggiare le fasi di tale processo.

La prima fase è quella che si affermò all’indomani della seconda guerra mondiale, caratterizzata dall’acquisizione di un potere crescente da parte delle grandi potenze regionali, con una connotazione marcatamente economica. Ciò determinò la progressiva marginalizzazione delle Nazioni Unite, che a tale sfida risposero con strumenti nuovi, come quello del peacekeeping.

Tale processo andò incontro ad una profonda trasformazione a partire dalla fine della Guerra Fredda, a seguito della quale si cominciò ad investire sempre di più nella cooperazione internazionale a livello multilaterale.

Nel 1992 si tenne, ad esempio, la prima riunione del Consiglio di Sicurezza al livello di Capi di Stato e di Governo, segno che la Comunità internazionale voleva tornare ad investire nelle Nazioni Unite[14].

L’accelerazione della globalizzazione - ha proseguito Finizio - avvenne in risposta alla proliferazione di nuovi attori non statali e di quelle che la letteratura ha definito come le “nuove guerre”[15]: conflitti di natura non più interstatale ma intra-statale o trans-nazionale, che videro per la prima volta la partecipazione di forze non ufficiali e di cui la maggior parte delle vittime era costituita da civili.

Le Nazioni Unite si trovarono pertanto a dover gestire un sovraccarico di input dal punto di vista del dispiegamento di operazioni di peacekeeping e di peace-building.

Il progressivo declino dell’egemonia statunitense ha inoltre favorito il rilancio di organizzazioni regionali che a partire da quegli anni hanno iniziato a dotarsi di competenze sempre più marcate in materia di sicurezza.

Ben presto, i vantaggi nel funzionamento di tali organizzazioni, in termini di costi e di tempestività nella risposta alle crisi, hanno sollevato un dibattito sul loro possibile coinvolgimento nel decision-making delle Nazioni Unite. Va in questa direzione la proposta italiana di introdurre un seggio dell’UE[16] all’interno del Consiglio di Sicurezza quale primo passo della regionalizzazione di tale organo. Tale progetto -di matrice spiccatamente eurocentrica- avrebbe consentito di rispondere al problema di deficit di legittimità di cui erano affette le Nazioni Unite così come il più ampio sistema di global governance. Deficit che -ha precisato Finizio- coinvolge due dimensioni:

  1. l’output legitimacy, vale a dire l’esigenza di una legittimità in termini di efficacia nella risoluzione dei problemi (da cui la necessità di coinvolgere le organizzazioni regionali);
  2. l’input legitimacy,cioè l’esigenza di rappresentare questi nuovi attori ai fini di una maggiore democratizzazione delle Nazioni Unite.

Finizio ha quindi sottolineato come il dibattito sulla riforma delle Nazioni Unite attraverso la sua regionalizzazione sia ancora oggi di grande attualità; rafforzarle ed includerle -ha proseguito- è l’unico modo per contenere la minaccia della power politics precedentemente evocata da De Leonardis ed evitare che si giunga alle estreme conseguenze tra potenze in ascesa e potenze in declino.

Per fare ciò, inoltre, secondo Finizio bisognerà superare tutta una serie di limiti intrinseci al loro funzionamento, tra cui la parzialità - il loro coinvolgimento, cioè, in specifici contesti regionali - e la loro subordinazione all’egemonia di alcuni grandi attori.

  1. Energia e vie di comunicazione: l’altro bersaglio del terrorismo?

Il meeting si è concluso con Lorenzo Nannetti, senior analyst del Caffè Geopolitico, collaboratore dello IAI ed esperto in crisi internazionali, NATO, politiche di difesa, affari energetici e analisi e risoluzione dei conflitti[17].

Il contributo di Nannetti - “Energia e vie di comunicazione: l’altro bersaglio del terrorismo?” -  ha riguardato il problema della risposta alle nuove minacce da parte della NATO e dell’UE, un esempio delle quali è costituito dal recente blocco del traffico nel Canale di Suez da parte di una nave da carico gestita dalla compagnia Ever Given, che ha avuto pesanti ricadute sul trasporto di petrolio e gas[18].

Da tali sfide possono essere derivate, secondo Nannetti, le seguenti conclusioni.

  1. La prima è che la presenza di numerosi siti vulnerabili in giro per il mondo rende sempre più necessario un ripensamento del tradizionale modello passivo di difesa energetica. Se in passato si era ritenuto che proteggere la stabilità di determinati Paesi fosse sufficiente ad evitare effetti di disruption a livello internazionale, con l’emergere delle nuove minacce sono diventate sempre più urgenti nuove forme di difesa attiva.
  2. L’approccio suggerito da Nannetti è innanzi tutto di tipo preventivo: esso si basa, cioè, sull’individuazione delle potenziali crisi che rischiano di mettere a repentaglio determinate zone critiche.
  3. Altra lezione che si ricava da tali minacce è l’importanza di diventare “buoni incassatori”: se non è possibile evitare qualsiasi attacco, è però possibile, caso per caso, trovare delle vie alternative per parare i colpi (come, ad esempio, individuare le riserve strategiche).

Un modo molto frequente che si è affermato per rispondere a minacce lontane dai confini della NATO e dell’UE - ha proseguito Nannetti - è quello della coalition of the willing (“coalizione dei volenterosi”[19]), che può essere sintetizzata nel concetto per cui “ci va chi ci sta”.

Tre sono i motivi alla base dell’intervento in tali contesti:

  1. il primo è perché ad essere minacciato è un proprio interesse diretto;
  2. il secondo è perché si possiede un’influenza storica nella zona;
  3. il terzo è l’interesse a sfruttare un’apertura o a costruire un’influenza in un’area.

Queste coalizioni possono essere ridotte o estese a seconda dei casi, e spesso implicano i processi, sopra richiamati, di regionalizzazione della sicurezza.

Altro aspetto da considerare - ha proseguito Nannetti - è che le diverse crisi non possono essere studiate in maniera settoriale, ma occorre una visione d’insieme. Così, ad esempio, una crisi energetica o legata alle vie di comunicazione non può essere compresa se non all’interno dei problemi più vasti che interessano i Paesi colpiti.

In conclusione, egli ha osservato come il rischio che si determina nel momento in cui gli Stati si trovano ad operare (non solo militarmente, ma anche per via diplomatica) in un’area lontana in cui sono coinvolti altri Paesi, sia quello della paralisi, sia perché si teme che tale intervento multilaterale possa scontrarsi con interessi contrastanti, sia perché, spesso, la responsabilità di tali crisi non è solo degli attori locali ma anche degli stessi attori internazionali che utilizzano queste disruptions in un’ottica di leverage (in termini di rapporti di influenza locali).

Quanto al futuro del nostro continente, secondo Nannetti, per poter affrontare il nuovo ordine internazionale l’Europa non potrà prescindere dal domandarsi quale sia il proprio progetto di relazioni con i vicini e dal definire una prospettiva di politica estera unitaria.

Da ultimo, nella parte conclusiva, il professor Berardi ha ricordato l’importanza di ripensare nel post-guerra Fredda il ruolo dell’ONU e delle diverse organizzazioni regionali, nella necessità di garantire un ruolo certo e stabile a tali organizzazioni, anche in virtù dell’esigenza sempre più urgente di sicurezza internazionale.

 

 

* Luiss Guido Carli, Roma.

[1] Tra le sue pubblicazioni: M. De Leonardis, La difesa europea: una certezza e una incognita, “Rivista Marittima”, 2019, 1, pp. 7-16 [http://hdl.handle.net/10807/131862]; La collaborazione del Regno Unito alla difesa europea dopo la Brexit, “Rivista Marittima”, 2018; aprile, pp. 20-29 [http://hdl.handle.net/10807/130330]; La diplomazia moderna tra spirito di isolamento e di comunità, in Bolognini S. (ed.), Ermeneutica del “ponte”. Materiali per una ricerca, Mimesis, Milano 2018, pp. 1069-1081 [http://hdl.handle.net/10807/130328].

[2] Cfr. G. Natalizia, Le origini della crisi in Libia, Geopolitica.info, 5 settembre 2018, https://www.geopolitica.info/le-origini-della-crisi-in-libia/.

[3] Cfr. NDC, “NATO 2030. United for a new era”: a Digest, 9 dicembre 2020, https://www.ndc.nato.int/news/news.php?icode=1509.

[4] Cfr. NATO Secretary-General: Russia’s Annexation of Crimea Is Illegal and Illegitimate, Brookings, March 19, 2014, https://www.brookings.edu/blog/brookings-now/2014/03/19/nato-secretary-general-russias-annexation-of-crimea-is-illegal-and-illegitimate/.

[5] “NATO 2030. United for a new era”. Analysis and Reccommendations of the Reflection Group Appointed by the NATO Secretary General, 25 novembre 2020, p. 27, in https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2020/12/pdf/201201-Reflection-Group-Final-Report-Uni.pdf.

[6] Cfr. https://www.ispionline.it/sites/default/files/deleonardis_schema_lezioni_1-18_sett_ott_2017.pdf.

[7] Tra le sue pubblicazioni: «Sfruttamento e abuso sessuale» nelle operazioni di pace. Le fattispecie di illecito, le misure internazionali di contrasto e i profili di responsabilità, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020; Dalla «causalità biologica» alla «causalità umana»: il superiore interesse del minore come fonte di legittimazione della genitorialità nelle famiglie arcobaleno, in Ordine internazionale e diritti umani (www.rivistaoidu.net), n. 4/2018, pp. 496-503; La revoca dell’immunità giurisdizionale agli Stati sponsor del terrorismo: another brick off the wall?, 18 gennaio 2017, http://www.questionegiustizia.it.

[8] Cfr. F. Fukuyama, The End of History and the Last Man, MacMillan, New York 1992.

[9] Cfr. A. Cassese, Terrorism is Also Disrupting Some Crucial Legal Categories of International Law, in “European Journal of International Law”, volume 12, issue 5, 1 December 2001, pp. 993–1001, https://doi.org/10.1093/ejil/12.5.993.

[10] Cfr. l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite alla pagina seguente del Comitato Atlantico Italiano: http://www.comitatoatlantico.it/COMIT/documenti/carta-delle-nazioni-unite-art-51-53/#:~:text=Nessuna%20disposizione%20del%20presente%20Statuto,pace%20e%20la%20sicurezza%20internazionale.

[11] Cfr. La Repubblica, Usa contro Talebani, cronologia di una guerra lunga quasi vent'anni, 29 febbraio 2020, https://www.repubblica.it/esteri/2020/02/29/news/cronologia_guerra_afghanistan-249889647/.

[12] Cfr. http://www.mlnsardu.org/wordpress/wp-content/uploads/2013/09/Illecito-internazionale.pdf.

[13] Tra le sue principali pubblicazioni: Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU: un inventario critico delle proposte di riforma, Centro Studi sul Federalismo, Torino 2008, La riforma del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: attori e condizioni politiche, Centro Studi sul Federalismo, Torino 2005; "The European Union and the Promotion of Democracy Through Interregional Relations", in M. Telò, L. Fawcett and F. Ponjaert (eds.) Interregionalism and the European Union. A Post-Revisionist Approach to the Europe's Place in a Changing World, Ashgate, Farham 2015, pp.141-157.

[14] Cfr. B-G. Boutros, “Un'Agenda per la Pace. Diplomazia Preventiva - Pacificazione - Mantenimento della Pace”, in Pace, diritti dell'uomo, diritti dei popoli, (2/1992), pp. 55-70, in https://unipd-centrodirittiumani.it/it/pubblicazioni/UnAgenda-per-la-Pace/754.

[15] Cfr. M. Kaldor, Le nuove guerre. La violenza organizzata nell’età globale, Carocci, Roma 1999.

[16] Cfr. G. Finizio, La politica estera dell'Unione Europea e la riforma del consiglio di sicurezza dell'ONU, Centro Studi sul Federalismo Paper, Torino 2008, http://www.csfederalismo.it/attachments/article/1244/1340_1A_finizio_giu_2008.pdf

[17] Tra le sue più recenti pubblicazioni per il Caffè Geopolitico: L’impasse nucleare tra USA e Iran in 7 punti, 11 marzo 2021, https://ilcaffegeopolitico.net/204757/limpasse-nucleare-tra-usa-e-iran-in-7-punti ; L’Iran arricchisce la sfida agli USA, 5 gennaio 2021, https://ilcaffegeopolitico.net/170505/liran-arricchisce-la-sfida-agli-usa ; Petrolio: è davvero ora di non chiamarlo più “oro nero”? , 28 aprile 2020, https://ilcaffegeopolitico.net/122466/petrolio-e-davvero-ora-di-non-chiamarlo-piu-oro-nero.

[18] Cfr. AGI, Disincagliata la Ever Given. Il traffico sul Canale di Suez riprende, 29 marzo 2021, https://www.agi.it/estero/news/2021-03-29/ever-given-disincagliata-traffico-canale-suez-riprende-11968856/.

[19] Cfr. Dizionario Treccani, Lessico del XXI Secolo (2012), s.v. coalition of the willing, https://www.treccani.it/enciclopedia/coalition-of-the-willing_%28Lessico-del-XXI-Secolo%29/.